Dal primo giorno di luglio le stazioni appaltanti non riconoscono più l’IVA ai costruttori, progettisti e fornitori, ma sono obbligate a versarla direttamente allo Stato.
E’ questa la novità in tema di split payment il provvedimento in uso sin dal 2015, che però ha visto progressivamente allargarsi il recinto della sua azione, oltre che la sua durata, prorogata sino al 2020.
La ratio del provvedimento è la lotta alla microevasione fiscale, ma se l’obbligo di versare l’IVA direttamente allo Stato ha generato incassi intorno ai 3,5 miliardi di euro tra il 2015 e l’anno successivo, ci sono anche state delle conseguenze negative, che andrebbero combattute.
A partire dal fatto che i rimborsi arrivano in tempi ancora troppo lunghi, ovvero tra gli 8 e i 12 mesi.
Tanto da spingere l’Agenzia delle Entrate a fissare in circa tre mesi l’obiettivo da perseguire per cercare di non svantaggiare troppo le imprese coinvolte, caratterizzate spesso da marginalità molto basse.
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Le polemiche sullo split payment
Va peraltro notato come le imprese che dovrebbero essere sottoposte allo split payment non sono quelle sospettate di praticare l’evasione fiscale, tanto da spingere gli osservatori neutrali a bollare la manovra in atto come un tentativo di fare cassa, andando a colpire ulteriormente dei contribuenti onesti, invece di andare a scovare chi realmente sottrae risorse al bilancio statale.
Va anche ricordato come sia a livello nazionale che europeo lo split payment sia stato considerato del tutto legittimo.
In Italia è stata la Corte Costituzionale a sdoganare il provvedimento con la sentenza n. 145/2016 che lo ha dichiarato legittimo, mentre a livello continentale anche la Comunità Europea ha autorizzato il nostro Paese ad adottarlo sino al 30 giugno 2020, subordinando però l’autorizzazione alla presentazione di una relazione sullo stato dei rimborsi IVA, in particolare per cercare di capirne meglio i tempi medi, che deve essere consegnata entro un termine di 15 mesi dalla data di entrata in vigore della misura.
Nella relazione in questione dovrà anche essere quantificato il recupero di evasione permesso dallo split payment.
Le operazioni escluse dallo split payment
Lo split payment viene applicato a tutti gli acquisti di beni o servizi che hanno luogo nel territorio statale ad opera delle pubbliche amministrazioni e dalle Società, che siano effettuati in ambito istituzionale o commerciale.
Con la Manovra correttiva D.L. 50/2017 convertito nella L. 96/2017 è stata ampliato la lista dei soggetti coinvolti, mentre è rimasta intatta la disciplina delle esclusioni già previste per alcune operazioni.
Rimane perciò confermato il principio generale in base al quale l’applicazione dello split payment riguarda le operazioni documentate da fattura, mentre sono escluse quelle certificate con documenti diversi come lo scontrino o la ricevuta.
Sono escluse, inoltre, dall’applicazione dello split payment:
1) le operazioni in cui la Pubblica Amministrazione risulti in qualità di debitore d’imposta, ovvero quelle soggette a reverse charge;
2) gli acquisti di beni o servizi che avvengono all’interno della UE;
3) le operazioni interne, nelle quali “la traslazione dell’onere dell’assolvimento dell’imposta è connessa a motivi di contrasto alle frodi”.